06 2008 Mission Imbpossible - Intervista di Hito Steyerl a Jon Solomon sul progetto da lei realizzato “DeriVeD”Traduzione: Viviana Costabile “DeriVeD”[1] si basa su una cartografia psicogeografica della Peoples Square (Piazza del Popolo) di Shanghai seguendo dei Dvd acquistati nei quartieri che circondano la città. Anche qui, come in molti posti delle città cinesi, i Dvd sono molto facilmente reperibili e in più assumono forme sorprendenti ed imprevedibili. “DeriVeD” illustra una mappa dei flussi di suoni e di immagini, dei drammi e dei desideri che circolano nel contesto dei conflitti globali intorno alla proprietà intellettuale. I Dvd si muovono su un livello di globalizzazione contraddistinto da immagini e suoni mossi, da desideri erranti, da fraintendimenti strutturali e da significati contorti. L’installazione combina testi e immagini delle copertine dei Dvd e comprende poster di film inesistenti così come citazioni di testi che vanno da licenze false passando per improbabili tagline (slogan con cui in genere vengono presentati i film, solitamente riportati sulle locandine pubblicitarie vicino al titolo) e testi di copertina stupefacenti fino a titoli di coda completamente sbagliati. Le diverse cartografie del progetto “DeriVeD” affrontano la questione del falso e dell’originale, della pirateria, del pastiche, della copia ed infine delle traduzioni che ne derivano (da qui il nome “derived”). L’uso inventivo della lingua inglese su queste copertine non rimanda tuttavia a consistenti lacune nella lingua stessa, ma a delle tensioni a cui la lingua è soggetta nell’ambito delle industrie culturali globali, delle forze di lavoro mobili e delle nuove forme della composizione di classe. In tali situazioni la traduzione risulta essere un’acuta espressione di contraddizioni politiche, di quadri sociali in mutamento e dell’irrevocabile intreccio di immaginari globali e locali. La seguente intervista con Jon Solomon, teorico della traduzione nonché professore associato al Dipartimento di studi di futurologia all’università di Tamkang, cerca di fare chiarezza su alcune di queste dinamiche. La domanda è la seguente: che senso si deve dare a questo eccesso di traduzione creativa, di riattribuzione e di stravolgimento (del significato)? Quali dinamiche economiche, sociali, politiche e creative s’intersecano in questo tipo di produzione del testo? Certamente, la questione del senso e del nonsenso è molto centrale, non solo per gli studiosi ed i teorici della traduzione che si sono, bene o male, sempre occupati di questo tema, ma anche per ogni tentativo di pensare alla relazione tra significato e mondo all’interno della nostra particolare congiuntura storica. In che modo si può eseguire un’operazione di contestualizzazione in una situazione in cui la necessaria finzione dell’esteriorità, implicata dal concetto di contesto, non funziona più in maniera così semplice? O ancora: per quanto tempo ancora continueremo a ritenere il McDonald un “fast food americano” se gli imprenditori dei franchising di Taipei, Hong Kong e Pechino detengono continuamente record mondiali riguardo al numero di clienti che vengono serviti al giorno? Quando Jean-Luc Nancy parla della “fine del senso del mondo” e della “fine del mondo del senso” come di un’unica cosa, vuole sicuramente porre l’attenzione sul modo in cui una determinata concezione di esteriorità – praticamente eliminata dalla recentissima ondata di globalizzazione – sia stata fondamentale, sia per la costruzione di “mondo” che di “significato”, sin da quando, per la prima volta, l’idea di una storia del mondo divenne significativa. Tuttavia, egli ci esorta anche a riconoscere che non si può pensare ai modi di determinazione di qualsiasi categoria che sostituisca quella di un “mondo storicamente significativo”, né in termini di un ritorno ai “mondi” che precedevano la creazione di quello che noi conosciamo attraverso l’esperienza della scoperta e dello scontro coloniale, né attraverso l’adozione di ciò che egli chiama “Platonismo sonnambulistico”, in cui le parole sono equiparate alle cose – e la pubblicità annuncia la verità filosofica del tempo (un Platonismo più spettacolare che sonnambulistico, direi). Credo che uno dei motivi per cui tu, cara Hito, sia interessata a questi Dvd della Repubblica Popolare Cinese derivi dal fatto che, anche tu, ritrovi nel loro eccesso di significato la concentrazione delle contraddizioni che caratterizzano il nostro tempo: ovvero 1) che esiste un unico mondo (nonostante non sappiamo ancora cosa ciò voglia dire), e 2) che inoltre non siamo in grado di pensare a quest’unico mondo senza ricadere nella narrazione del ritorno. Una “Mission” veramente “Imbpossible”: anche se l’aggiunta della “b” trasforma la parola “impossibile” in un inequivocabile nonsenso, come facciamo a non vedervi in essa una realizzazione performativa dell’impossibilità (la scomparsa simultanea e l’eccesso di contesto)? Sarebbe sì fantasioso, ma non privo di un certo fondamento guardare “Mission Imbpossible” come un epigramma per la poetica ontologica di una “incompossibilità” nel mondo odierno. Queste lingue in divenire sono senza dubbio delle lingue spezzate, frammentate, e vengono così definite, esattamente perché esiste una tale pressione su di loro che s’infrangono come placche tettoniche e parlarle è un po’ come masticare delle rovine. Come si può giudicare l’estetica di una copia inglese su dei Dvd cinesi quale forma di una cultura non autentica, considerato il successo delle “soap al cellulare” (cell phone novelas) ultimamente così popolari in Giappone e sempre più diffuse anche nel resto dell’Asia orientale? Che siano state scritte o meno sui telefoni cellulari, questo genere – concepito secondo una lingua supponibilmente “nativa” – si distingue per uno stile ed una grammatica ideati per far storcere il naso ai guardiani dell’autenticità. E’ molto difficile, se non impossibile, riprodurre nella traduzione le differenze stilistiche, sebbene si possa immaginare quali compromessi entrino in gioco nel caso di una soap interamente scritta in forma di sms, anche nel caso in cui fosse concepita in inglese. Il quotidiano Sydney Morning Herald riporta le parole di Toru Ishikawa, professore di letteratura giapponese alla prestigiosa Università Keio di Tokyo: “La grandezza dello schermo costringe gli autori ad usare frasi brevi e concise, formate da parole semplici. Se questo è il modo in cui si misura la qualità della letteratura, allora, certo che la predominanza di un simile tipo di scrittura non può che affondare la letteratura giapponese…Ma ciò potrebbe anche incoraggiare gli scrittori ad avere un rapporto molto più inventivo con la lingua, la quale deve costantemente svilupparsi, evolversi.”[6] Il notevole “eccesso” che è possibile costatare in questi Dvd è una fedele riproduzione in un senso molto reale, in quanto in tale eccesso si rispecchia l’effettiva estetica della ricezione dell’inglese nell’attuale società cinese. Gli effetti dello “tsunami inglese”, che inonda le relazioni sociali sotto tutti i livelli, non possono quindi essere sopravvalutati. La mia sensazione è che la forma quotidiana dell’inglese costituisca un reale eccesso per le popolazioni estremamente mobili (come ad esempio le forze lavoro cinesi) soggette ad una nuova forma di segmentazione sociale, in parte causata dal dominio a livello globale della lingua inglese. Ciò solleva una delle questioni fondamentali sulla traduzione: coloro per i quali la traduzione è un qualcosa di necessario, non hanno assolutamente alcuna possibilità di verificare in prima persona l’autenticità di una traduzione. Stando alle attuali condizioni della produzione effettiva all’interno delle industrie della traduzione, dove esiste una forte asimmetria tra le lingue come il cinese e l’inglese, ciò sta a significare che i parlanti monolingui dell’inglese sono confrontati con uno svantaggio relativo. Mentre la maggior parte dei cinesi nei centri urbani oggi possiede una certa familiarità con l’inglese, lo stesso non si può dire per coloro che parlano l’inglese, al di fuori della Cina, nei confronti del cinese. Il fatto che i lavoratori cinesi rappresentino la più grande forza-lavoro migrante a livello mondiale, soggetta alla politica di un singolo Stato, rende la loro posizione nei confronti del Capitale potenzialmente esplosiva. In circostanze normali verrebbe naturale credere che la concentrazione senza precedenti di investimenti di capitale, associata ad un tale enorme livello di migrazione, produca una situazione rivoluzionaria, ma non è questo il caso. Di conseguenza ci troviamo di fronte ad una situazione in cui ci si affida a delle categorie palesemente inadatte (come “straniero” e “nativo”), ora più che mai. L’immagine che qui sto tracciando, quindi, è un’immagine in cui la cultura – un amalgama di immagini sulla lingua e sull’etnicità – rappresenta l’ideologia attraverso cui il Capitale, nonostante fortissime contraddizioni sociali, riesce a mantenere il suo dominio. Dietro l’apparente autenticità dell’industria culturale dell’immagine si cela un regime di produzione completamente transnazionale. I “Cinesi” non sono gli unici responsabili per la creazione della “Cinesità” o della “cultura Cinese” quali figure globalmente riconosciute di differenziazione antropologica; lo stesso vale per la produzione dell’“Occidente” che, come abbiamo visto nel caso di questi Dvd, non risiede unicamente nelle mani dell’“Occidente”. Hollywood ha afferrato la verità di questa situazione ed infatti immette, sempre più, sul mercato prodotti come Geisha creati apposta per avvalorare le aspettative del pubblico asiatico rispetto ad un Orientalismo Occidentale. Inoltre la divisione del lavoro è “genderizzata” (in quanto i compiti vengono assegnati ai lavoratori in base al loro sesso ndt). Sebbene non sia in grado di fornire cifre precise, scommetterei che i redattori e i responsabili del design, che di fatto producono le copertine di questi Dvd, sono donne istruite che vivono in centri urbani ed hanno conoscenze – pur se non professionali – sia nell’uso del software desktop-publishing che dell’inglese. C’è da dire ancora che il mercato di questi Dvd deve scontrarsi con una forte concorrenza proveniente dal download del p2p (peer to peer, che permettere di scaricare tutto gratis e velocemente ndt). Il modo, poi, in cui questi Dvd vengono confezionati (e la facilità con cui si riesce a realizzarli senza lasciar alcuna traccia) è un’importante fonte di valore aggiunto per quanto riguarda l’attrazione verso questo tipo di prodotto. La natura transnazionale dell’industria culturale dell’immagine è oggi sempre più collegata ai regimi che riguardano i diritti della proprietà intellettuale. Quanto manca ancora, prima che il trend verso la crescente privatizzazione del lavoro creativo in ambito pubblico coincida del tutto con i rapporti asimmetrici dell’industria globale della traduzione, accelerando così la privatizzazione della cultura, se non di intere lingue nazionalizzate? Mentre l’accondiscendente scherzoso sfottò dell’inglese asiatico negli anni '80 va trasformandosi nell’imposizione aggressiva dei diritti di proprietà nel nuovo millennio, all’orizzonte si profila una lotta per l’appropriazione e la privatizzazione del sapere collettivo. Già negli anni ’80 Valenti si era fatto in prima linea per quel che riguardava il panico da “riproduzione” (pirata): divenne infatti noto per essersi scagliato con toni accesi contro la Sony che aveva prodotto il videoregistratore Betamax e nel 1982, davanti ad una commissione congressuale, pronunciò le seguenti parole: “Vi dico che per i produttori cinematografici ed il pubblico americani il VCR rappresenta la stessa cosa che per una donna da sola a casa rappresenta lo strangolatore di Boston.” Ovviamente già in quel periodo le ansie riguardo alla riproduzione illecita vennero razzializzate nell’immagine dello spionaggio industriale asiatico e della riproduzione senza scrupoli di prodotti occidentali. Ora, simili affermazioni vengono inserite in una retorica della “Guerra contro il terrorismo”, atta ad intimorire e criminalizzare coloro che fanno uso del p2p e del download mediante il protocollo BitTorrent. Dall’altro canto, però, gli stessi pirati di copie illegali sono spesso agenti attivi di violente privatizzazioni ed espropriazioni. Numerosi casi in cui gli immigrati illegali sono stati costretti a vendere merce pirata per gang criminali dimostrano che, i pirati illegali non sono necessariamente delle nobili figure (come vien fuori dall’immaginario di molta gente di sinistra) ma al contempo sono anche degli attori privilegiati nella spietata privatizzazione di ogni cosa, in quanto meno soggetti alle restrizioni della legge rispetto ad altri attori. Probabilmente le lingue “spezzate” sulle copertine dei Dvd esprimono l’insieme di tutte queste contraddizioni. Oggigiorno, la distinzione tra “coloro i quali possiedono” e “coloro i quali non possiedono”, adottata quale principale metro di differenziazione tra le persone, viene sostenuta anche da un’altra distinzione: tra “coloro che sanno” e “coloro che non sanno”. Le lingue spezzate rifletterebbero, in un certo senso, le lotte sul controllo della produzione e della riproduzione simbolica, dall’altro lato potrebbero ben rappresentare gli sforzi nel creare un comune (linguaggio) al di là della nazione e dell’impresa. Esse creano forse uno spazio sconfinato di virtuosi dell’arte della copertina, i quali inventano delle nuove lingue quasi per caso. Questo spazio rappresenta sia un luogo di conflitto che di creazione del comune, uno spazio per contraddizioni condivise. O come spiega in maniera trionfante una copertina: “The virtuous space worries together.” Lo spazio virtuoso si preoccupa insieme. [1] Il progetto „DeriVeD“ è stato realizzato da Hito Steyerl per la Biennale di Shanghai di quest’anno (2008). [2] La traduzione suonerebbe pressappoco in questo modo: “I pub britannici sono cantanti di jazz, lei è una bellezza sexy, vibrante, indomabile, di una temerarietà, di un’audacia naturalmente vive. Si è dovuta sbarazzare di innumerevoli uomini. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non sono mai stati (presenti) davanti agli occhi degli uomini, nel migliore dei casi è un ‘Richiamo al ritorno (verso casa)’ che solo una bambola è in grado d’interpretare. Tuttavia c’è un uomo perfetto – Hyun ha cambiato totalmente la sregolatezza di una giornata, (essendo) la Gran Bretagna incapace di resistere al suo fascino. Egli ha tralasciato tutto in un abbraccio. Umorismo della gente/del popolo.” [3] All’incirca: “Il set è sanguinoso. Include una polposa ed invitante epica guerresca. Si deve rischiare tutto.” [4] All’incirca: “Lei proviene dall’al di là della liberazione.” [5] Evelyn Nien-Ming Ch’ein, Weird English, Cambridge: Harvard University Press 2004. [6] Sydney Morning Herald, 7 dicembre 2007, http://www.smh.com.au/news/mobiles--handhelds/ |
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